VAN DICK A GENOVA
Ia PARTE
Luciano Fante
Seguendo l’esempio di Rubens presso il quale si era formato artisticamente, Anton Van Dyck giunge a Genova nell’ottobre del 1621 appena ventiduenne, ma già con una grande fama acquisita non solo ad Anversa nelle Fiandre dove era nato il 22 marzo 1599.
Anton Van Dyck – autoritratto – Cartolina maximum – 1.4.1944 Bruxelles, Palais des Beaux Arts, Francobollo della serie con sovrapprezzo pro Croce Rossa belga.
Il suo primo soggiorno a Genova dura cinque mesi, e si rivela una tappa molto importante, perché proprio a Genova nasce l’innovativa ritrattistica cortese di Van Dyck, destinata a lasciare il segno nel ritratto del XVIII secolo.
La ricca nobiltà genovese che aveva accumulato fortune con il commercio, la marineria e la finanza, e che spesso aveva un tenore di vita simile a quello delle corti, ambiva eguagliarne la pompa e lo splendore. Perciò Genova accoglie a braccia aperte il giovane pittore, che a sua volta considera adeguato quel mondo alle proprie aspirazioni, provenendo anch’egli da una ricca famiglia di commercianti.
Ispirandosi al tipo del ritratto ufficiale introdotto da Rubens proprio a Genova una decina di anni prima, Van Dyck ritrae molti membri dell’aristocrazia locale a figura intera, seduti in nobile atteggiamento o stanti, lo sguardo freddo e distante volto all’osservatore, preziosamente abbigliati, davanti a colonne, pilastri, drappeggi di broccato.
Nel 1622 il nostro s’imbarca per Civitavecchia e soggiorna a Roma, per poi visitare molte città italiane negli anni seguenti, da Palermo a Venezia. Negli anni 1625-27 non si hanno notizie certe, ma probabilmente Van Dyck è attivo a Genova, dove ritrae alcuni membri della famiglia dei marchesi Brignole-Sale. Tali opere sono eccezionalmente ancora conservate nella loro sede originaria di Palazzo Rosso, dimora storica di famiglia, pervenuta al Comune di Genova per munifico lascito di Maria Brignole-Sale De Ferrari, duchessa di Galliera, con tutti i suoi arredi e dipinti, e che oggi fa parte dei Musei di Strada Nuova.
1627 – Ritratto equestre di Anton Giulio Brignole-Sale – olio su tela, cm 282 x 148 – Genova, Galleria di Palazzo Rosso.
1627 – Ritratto di Paolina Adorno Brignole-Sale
olio su tela, cm 286 x 151 – Genova, Galleria di Palazzo Rosso.
Qui ci occupiamo dei quadri più celebri, che sono quello di Anton Giulio Brignole-Sale, e quello della moglie Paolina Adorno Brignole-Sale, che sono considerati tra i più belli ed importanti esempi della ritrattistica ufficiale vandyckiana. Lui è ritratto a cavallo, nella più aulica delle pose, fino a pochi anni prima riservata ai sovrani. Lei stante in nobile e aristocratico atteggiamento, con una rosa completamente aperta in mano, ovvero nella sua pienezza, ma anche prossima a sfiorire, simbolo della caducità della bellezza. Paolina aveva allora (1627) circa vent’anni, e morirà ancora giovane nel 1648, mentre Anton Giulio al tempo dei ritratti ne aveva ventidue, ed erano sposati da due anni. Ebbero sette figli e dopo la prematura morte della moglie, Anton Giulio lascia la vita pubblica (era ambasciatore in Spagna), prende i voti ed entra a far parte della Compagnia di Gesù, proseguendo con scritti religiosi e agiografici la sua attività di autore di testi satirici e teatrali nonché di romanzi biografici. Morirà nel 1665 a 60 anni.
1627 – Ritratto di Geronima Brignole-Sale madre di Anton Giulio con la figlia – olio su tela, cm 241 x 168 Genova, Galleria di Palazzo Rosso.
La carriera artistica di Van Dyck ha coperto un periodo di mezzo secolo, poiché già da bambino dipingeva egregiamente e, dovunque andasse, sovrani e nobiluomini facevano a gara per essere ritratti da lui, tanto da diventare ricchissimo con la sua arte. Le sue opere sono tante, sparse in tutto il mondo presso istituzioni pubbliche e raccolte private. Sono state molte le mostre temporanee dedicate all’artista in diversi Paesi. Per quanto riguarda Genova, va ricordata la mostra del 1955 all’Accademia, e più di recente la grande mostra del 1997 a Palazzo Ducale con oltre 100 opere esposte, per l’inaugurazione della quale le Poste hanno concesso l’annullo speciale qui riprodotto.
Nel 1999 per il quarto centenario della nascita del grande pittore fiammingo, le poste di diversi Paesi del mondo hanno messo in circolazione molti francobolli celebrativi dell’evento, che ci permettono di mostrare i capolavori di cui si tratta, tramite la riproduzione di alcuni di essi.
Il ritratto equestre di Anton Giulio Brignole-Sale di Van Dyck,
nella sua antica collocazione di Palazzo Rosso in una cartolina anni Venti.
VAN DYCK A GENOVA
IIa PARTE
Nella prima parte di questo scritto già apparsa nell’opuscolo edito per Genova 2013, abbiamo visto che Van Dyck ha operato a Genova in due periodi della sua breve ma intensa vita. La prima volta per circa cinque mesi, dai primi di ottobre 1621 a febbraio 1622, e una seconda volta per un tempo molto più lungo, tra il 1624 e il 1627.
Il pittore giunge a Genova la seconda volta proveniente da Palermo, dove decide di allontanarsi per l’infuriare della peste in città, e porta con sé il dipinto della Madonna del Rosario che aveva iniziato nella città siciliana, considerato il maggior capolavoro religioso dell’artista. Una volta completata l’opera a Genova, la grande tela sarà inviata a Palermo, dove si trova tutt’ora nell’Oratorio del Rosario di San Domenico.
Sebbene si tratti di un’opera di committenza palermitana, il capolavoro è stato realizzato prevalentemente a Genova, e possiamo considerarlo frutto dell’attività genovese dell’artista.
La Madonna del Rosario (particolare)1627.
Oltre l’importante dipinto appena visto, vogliamo mostrare una rassegna dell’opera pittorica vandyckiana realizzata nel corso dei suoi soggiorni nella nostra città, tramite francobolli di varie Amministrazioni Postali, che riproducono alcune di dette opere. Una di queste la mostriamo ripresa da una cartolina d’epoca.
Il Cristo della moneta – Genova Palazzo Rosso.
La tela è databile intorno al 1625. Vi è narrato l’episodio evangelico relativo alla polemica artificiosa in cui i farisei tentano di coinvolgere Gesù a prendere una posizione sulla questione dei tributi dovuti all’odiato occupante romano. Di qui la ben nota risposta del Cristo “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Marchesa Geronima Spinola
Berlino Staatliche Gemaldegalerie.
La tela dipinta presumibilmente tra il 1624 e il 1626 è solo un esempio di come la nobiltà cittadina facesse a gara per farsi ritrarre dal pittore fiammingo.
Anche l’identificazione della nobildonna è tutt’altro che risolta dalla critica d’arte, tant’è che il dipinto viene anche genericamente identificato come Gentildonna Genovese.
Agostino Pallavicino
Malibu J. Paul Getty Museum.
DUE DIVERSI MODI D’INTERPRETARE IL RITRATTO DI FAMIGLIA
Nella ricerca di fonti da cui trarre il necessario commento all’ulteriore materiale filatelico che mostriamo, abbiamo stilato alcuni appunti che riguardano quattro tele:
La nobildonna nella tela del 1622 è ritratta con i suoi due figlioletti
Battina Balbi Durazzo “La dama d’oro ” Collezione privata.
Elena Grimaldi Cattaneo. – Filippo Cattaneo. – Elena Grimaldi Cattaneo.
Clelia Cattaneo.
Cartolina spedita da un visitatoredella National Gallerynel 1948.
Le tre tele raffiguranti Elena Grimaldi Cattaneo e i due figlioletti si trovano attualmente a Washington alla National Gallery of Art Wildner Collection. In entrambi i casi l’intento del pittore è stato quello di raffigurare una nobildonna con i suoi due figlioletti: maschio e femmina.
Già il fatto che la prima famiglia è ritratta in una sola tela, mentre per l’altra le tele sono tre, ci fa pensare che non c’era un unico criterio per commissionare un’opera di questo genere a un pittore. Tuttavia, è il caso di esaminare meglio le ragioni storico – familiari che orientarono i due diversi committenti alle soluzioni di cui sopra. Vale innanzitutto rilevare che il dipinto chiamato “La Dama d’oro”, già prima che la nobildonna ritratta venisse identificata come Battina Balbi Durazzo, era considerato dai contemporanei come l’opera d’arte più importante del patrimonio genovese.
Il primo marito di Battina Balbi, Giovanni Durazzo, era morto nel 1622 e questo ritratto fu dipinto nel 1623. Il lutto vedovile è evidente dal gran drappo nero che avvolge la nobildonna. Dal momento che già l’anno successivo Battina convolò a nuove nozze, sorge l’interrogativo su chi abbia commissionato il quadro. L’ipotesi più probabile è che se ne siano incaricati i parenti del marito defunto.
Diversa è invece la sorte dell’altra nobildonna: colpisce la trionfante immagine di Elena Grimaldi Cattaneo che denota ben altro stato d’animo rispetto alla Dama d’oro di fresca vedovanza.
Anche per i figlioletti che per la vedova sono ritratti assieme alla madre, ai figli della Grimaldi Adorno sono riservate addirittura due tele distinte
Nel 1620, prima del soggiorno a Genova, Van Dyck trascorse alcuni mesi a Londra, presso la corte del re d’Inghilterra Giacomo I, dove poté esprimere più liberamente la sua arte rispetto a quanto aveva potuto fare in precedenza nelle Fiandre, in cui la pittura era essenzialmente a tema religioso.
A Londra il pittore ci ritornerà soltanto nel 1632, dopo aver girato l’Italia e aver passato diversi anni a dipingere nella natia Anversa e, salvo un ulteriore ritorno ad Anversa e Bruxelles nel 1634, Anton lavorerà a Londra, dove morirà il 1° dicembre 1641 a soli 41 anni, lasciando per nostra fortuna un gran numero di opere d’arte tutt’ora tra le più ammirate.